Era il 19 luglio 1992 e una bomba, quella destinata a Paolo Borsellino, magistrato antimafia, impresse quell’estate nella memoria di tutti noi.
57 giorni prima, a Capaci, 500 chili di tritolo avevano abbattuto un altro pilastro della lotta alla mafia, Giovanni Falcone.
Oggi, a distanza di 30 anni da quei terribili giorni, non possiamo sicuramente mettere da parte la vicenda umana di Falcone e Borsellino, l’atroce fine che la mafia ha imposto con violenza alle loro vite, la spettacolarità della loro esecuzione con la quale tutti gli italiani sono stati minacciati. Al dato empatico e umano di questo capitolo della nostra storia non possiamo non associare l’importanza del lavoro svolto da queste due figure, la volontà di rivendicare la giustizia, il valore e la cultura della legalità che da allora sono entrate nelle scuole e nel dibattito pubblico.
Oggi, se potessimo incontrarli, diremmo a Falcone e Borsellino che gli insegnamenti che ci hanno lasciato sono “immortali”, così come li ha definiti il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Diremmo loro che quegli attentati hanno smosso le coscienze immobili di milioni di cittadini che hanno imparato a conoscere la legalità, a denunciare i soprusi che tentano di schiacciarla, a trasmetterne i valori lì dove prima regnava il silenzio dell’omertà.
Dopo 30 anni risuonano ancora le parole di Giovanni Falcone: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.