Le Nazioni Unite Approvano L’accordo Sulla Conservazione E L’uso Sostenibile Della Biodiversità Marina Nelle Aree Non Sottoposte A Giurisdizione Nazionale

Il 19 giugno, presso la sede delle Nazioni Unite a New York, è stato adottato l’Accordo ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare in tema di conservazione e uso sostenibile della biodiversità marina delle aree non sottoposte a giurisdizione nazionale.

Tale accordo rappresenta il frutto di innumerevoli sforzi, nel corso degli scorsi anni, di giungere all’approvazione di uno strumento giuridicamente vincolante e valido a livello internazionale posto a tutela dell’ambiente marino concepito come patrimonio comune.

Il testo, già definito il 4 marzo, è stato adottato by consensus in seno alla Conferenza intergovernativa appositamente convocata, così come deciso dall’Assemblea Generale nella risoluzione 72/249.

Il Segretario Generale ONU Antonio Guterres, nella dichiarazione resa a margine della conferenza, ha sottolineato la storicità del momento congratulandosi anche per il ruolo delle organizzazioni non governative, della società civile, istituzioni accademiche e comunità scientifica per il sostegno fornito nel raggiungimento di questo traguardo.

L’area degli oceani generalmente conosciuta con l’espressione “alto mare” è svincolata dalle giurisdizioni nazionali e ricopre circa i due terzi della superficie oceanica mondiale. Fino a questo momento, nessuno strumento giuridico tutelava in via diretta questa parte di superficie terrestre con particolare riguardo alla salute degli ecosistemi marini, troppo a lungo ignorati dalle conseguenze che cambiamento climatico e riscaldamento globale, modalità di pesca ben oltre la soglia dello sfruttamento e abbandono sconsiderato di rifiuti potessero causare.

Come stabilito dall’Art. 2, lo scopo dell’Accordo è quello di assicurare la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina nelle aree non soggette a giurisdizione nazionale: il testo è stato scritto in un’ottica di cooperazione multilaterale.

I criteri indicativi utili all’identificazione delle aree oggetto delle attività da parte degli Stati membri di questo Accordo sono definiti nell’Allegato I al Trattato: rarità, unicità, particolare importanza e storicità dell’area per le specie viventi, particolare vulnerabilità della zona ai cambiamenti climatici e all’acidificazione degli oceani, o fattori culturali, economici e sociali caratterizzanti determinate aree sono solo alcuni di essi.

La seconda parte del Trattato considera le risorse genetiche marine e la giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dalle attività ad esse connesse, così come delle conoscenze di natura scientifica e tecnologica legate all’ambiente marino.

Le attività possono essere svolte da tutti gli Stati parti dell’Accordo, indipendentemente dalla loro ubicazione geografica, e nessuno di essi potrà esercitare diritti sovrani sulle risorse genetiche marine nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale.

Per ogni attività di “raccolta di risorse genetiche marine” (Art. 12) dovranno essere resi noti: natura, obiettivi e programma dell’attività; oggetto e scopo della ricerca; indicazione dell’area geografica oggetto dell’attività; metodo, misurazioni e tipologia della tecnologia utilizzata; date di inizio e fine della spedizione; nome dell’istituto promotore e/o della persona responsabile del progetto; garanzia dell’opportunità di partecipazione al progetto per Stati considerati in via di sviluppo; piano di gestione dei dati trasparente.

Lo scambio di informazioni dovrà avvenire attraverso un meccanismo appositamente istituito, definito “Clearing-House Mechanism”.

Si tratta di una piattaforma open-access che funzionerà come database centralizzato e sarà fruibile dagli Stati Parti che, grazie a questo strumento, potranno avere immediato accesso a informazioni dettagliate sulle attività, quali richieste di capacity-building e di trasferimento di tecnologia marina – definite all’interno dell’Allegato II al Trattato – e che potranno coinvolgere anche enti privati e non-governativi, pur se in qualità di “donatori”.

Le potenzialità di questo meccanismo, così come è definito nell’Art. 51 del Trattato, stanno lì dove vengono considerate realtà regionali e subregionali nell’ottica della collaborazione reciproca, nell’incoraggiare la cooperazione tra i vari strumenti giuridici e le diverse entità, considerate a livello globale e locale, nella materia attinente al presente Accordo.

Una particolare attenzione viene data alle tradizionali conoscenze, in tema di biodiversità marina, detenute dalle popolazioni indigene: l’accessibilità a tale tipologia di informazioni è riconosciuta dall’Accordo solo se in presenza di consenso libero e informato da parte delle comunità locali.

Per quanto riguarda l’accesso e la condivisione dei benefici, così come la gestione delle singole aree, il Patto prevede l’istituzione di un organo apposito, la Conferenza delle Parti. Le attività e gli strumenti pensati per ogni singola area al di fuori della giurisdizione nazionale devono essere presentati tramite proposta scritta al segretariato che la trasmetterà all’Organo Tecnico Scientifico per un esame preliminare.

Ogni proposta presentata è aperta a tutte le Parti interessate, inclusi Stati, organismi globali, regionali, subregionali e settoriali, nonché la società civile, la comunità scientifica, le popolazioni indigene e le comunità locali, i quali possono presentare contributi nel merito in un periodo limitato di tempo (Art. 21).

Decisioni e raccomandazioni vengono adottate per consenso dalla Conferenza degli Stati Parte ed entrano in vigore entro 120 giorni dalla riunione in seno alla quale sono adottate; in tale periodo di tempo, una Parte può presentare obiezioni motivate mediante notifica scritta al segretariato.

Se un fenomeno naturale o una calamità causata dall’uomo genera, o rischia di generare, gravi danni che siano irreversibili per la biodiversità marina in aree non soggette a giurisdizione naturale, la Conferenza della Parti può adottare misure di emergenza in tal senso. Le misure, di natura temporanea e suscettibili di revisione, devono tenere conto dell’approccio precauzionale e devono basarsi sulle migliori informazioni scientifiche e, ove disponibili, sulle conoscenze tradizionali pertinenti delle popolazioni indigene e delle comunità locali.

La terza parte del Trattato è dedicata interamente alle valutazioni di impatto ambientale: è previsto che le attività vengano condotte al fine di prevenire, mitigare e gestire gli impatti negativi per l’ambiente marino. In particolare, se uno Stato Parte del presente Accordo implementa attività in aree sottoposte alla propria giurisdizione nazionale che possano rivelarsi dannose per le aree al di fuori di essa e sottoposte alle norme di questo Trattato, tale Stato deve garantire la valutazione dell’impatto ambientale di tale attività in conformità al Trattato o, in alternativa, seguendo la procedura nazionale.

In generale, ai fini della valutazione dell’impatto ambientale è previsto che l’Organo Tecnico Scientifico collabori con altri meccanismi regionali, sub-regionali e settoriali, tenendo conto dei relativi strumenti giuridici nel momento in cui si elaborano le linee guida o si aggiornano gli standard utili allo svolgimento della valutazione dell’impatto ambientale.

Una volta effettuate tutte le valutazioni del caso, gli Stati devono redigere un report con tutte le informazioni relative all’attività: questo sarà reso disponibile per gli altri Stati membri per mezzo del meccanismo centralizzato.  

Sulle attività autorizzate viene svolta una revisione, da parte dello stesso Stato che ne ha il controllo, nel caso in cui delle circostanze non siano state preventivamente considerate nell’ambito della valutazione sull’impatto ambientale o nel caso in cui sia avvenuta una rottura delle condizioni approvate per l’implementazione dell’attività. Nei casi più estremi, l’Organo Tecnico Scientifico può formulare delle raccomandazioni allo Stato che abbia autorizzato l’attività in questione.

Dalla lettura del testo emerge in maniera preponderante lo spirito di cooperazione che ha ispirato la formulazione di questo strumento giuridico. L’attenzione posta all’ambiente marino nella sua interezza, finalmente considerato come patrimonio comune da tutelare s’inserisce nel solco già tracciato dall’Agenda 2030 delle NU e del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework.

Ora l’azione passa agli Stati: questo accordo va al più presto firmato e ratificato, in modo che uno strumento così prezioso possa esplicare i suoi effetti per il nostro Pianeta e per le generazioni future.